Skip to main content

Se hai visitato qualche pagina che parla di investimenti probabilmente avrai letto di stare alla larga dai fondi, e che gli etf sono assolutamente migliori! La motivazione principale è che i fondi sono più costosi e quindi si mangiano tutto il risultato o quasi.

Ma è davvero così semplice? E soprattutto, il costo è proprio l’unica discriminante che deve guidare le nostre scelte? Vediamolo!

 

Conosciamo meglio i “contendenti”

Per fare un confronto completo è importante conoscere bene entrambi gli strumenti, con le loro caratteristiche principali, i pregi e i difetti.

 

ETF

Iniziamo dallo “sfidante”, uno strumento ancora relativamente marginale in Italia, con circa 3,6 miliardi di masse gestite e una sessantina di ETF attualmente sottoscrivibili. Decisamente poco, se paragonato agli oltre 540 miliardi in gestione tramite migliaia di fondi comuni.

Gli etf nascono all’inizio degli anni ‘90 negli Stati Uniti, e sono conosciuti per la loro caratteristica di replicare più o meno fedelmente un indice di mercato. Per questo motivo sono anche chiamati “fondi passivi” o “gestione passiva”. In realtà non è questa la peculiarità di questi fondi; come indica il loro nome completo, Exchange Traded Fund, sono fondi negoziati direttamente in Borsa, come le azioni. Infatti esistono anche ETF attivi, che quindi sono composti da un paniere di titoli scelti in autonomia dal gestore.

Ma vediamo come nasce un ETF. Quando una Società di Gestione del Risparmio (SGR) decide di creare un ETF, affida a dei Partecipanti Autorizzati (solitamente banche di investimento globali) il compito di acquistare i titoli necessari a replicare l’indice prescelto o a comporre il paniere prescelto. Quando il paniere di titoli è completo, i Partecipanti Autorizzati lo trasmettono alla SGR. Questa deposita i titoli presso una banca depositaria indipendente, e in cambio riceve una cosiddetta “quota intera” del nuovo ETF, che gira ai PA. A questo punto i PA possono suddividere la loro quota in frazioni più piccole e venderle sul mercato secondario. Ed ecco che L’etf arriva agli investitori.

Durante tutta la vita dell’etf i PA continuano a comprare e vendere i titoli che compongono il paniere. Nel caso degli ETF passivi questo è necessario per fare in modo che il fondo rifletta sempre la composizione e i pesi stabiliti all’inizio. E raggiungere quindi lo scopo che si prefigge, ovvero quello di avere un andamento del tutto simile all’indice di riferimento.

 

Fondi comuni di investimento

Sebbene esistano diverse tipologie di fondi, per semplicità in questo articolo li tratteremo come un’unica categoria omogenea. Un fondo nasce, come già visto per gli ETF, per iniziativa di una SGR. La differenza principale, nella fase di creazione, è che nel caso del fondo il gestore raccoglie prima il denaro dai sottoscrittori e con quello poi acquista gli strumenti finanziari che vanno a comporre il fondo. Gli investitori diventano proprietari di un numero di quota proporzionale alla cifra impegnata. Durante tutta la vita del fondo, i nuovi sottoscrittori acquistano le quote direttamente dal gestore, e non sul mercato.

Il denaro dei sottoscrittori, così come gli strumenti che compongono il fondo, vengono custoditi da una banca depositaria, che se ne fa garante. Il patrimonio del fondo è separato da quello della SGR che lo crea e lo gestisce, e di conseguenza non può essere aggredito da eventuali creditori. Anche nel caso estremo di fallimento, gli investitori rimangono proprietari delle quote, e possono decidere se tenerle o venderle.

La maggior parte dei fondi ha come scopo quello di ottenere risultati migliori rispetto al mercato, di conseguenza il gestore seleziona i titoli a sua discrezione, privilegiando quelli che ritiene migliori e sottopesando quelli che non valuta positivamente. Per quantificare il risultato viene scelto un indice di riferimento, chiamato benchmark (che deve essere coerente con la composizione del fondo) e si confronta l’andamento del fondo con quello del benchmark.

 

Il confronto

Ora che conosciamo le principali caratteristiche possiamo valutare i pro e i contro dell’uno e dell’altro, soprattutto in ottica di pianificazione. Per semplicità di confronto considereremo esclusivamente gli ETF passivi.

 

Performance

Cominciamo con il valutarli sul loro tratto più divisivo, ovvero la relazione con il mercato. Chi dei due performa meglio? Ovviamente dipende da molti fattori, non per ultimo la capacità del gestore attivo di interpretare e anticipare il mercato. Ma è vero che c’è uno schema ricorrente.

Analizzando i fondi, statisticamente quelli che battono il proprio benchmark sono meno di quelli che non riescono. E anche quelli che lo battono, difficilmente riescono a farlo costantemente ogni anno.

È presto però per dichiarare il vincitore; infatti analizzando più a fondo le caratteristiche del mercato, si scopre che i fondi fanno più fatica a battere i mercati particolarmente efficienti. Sono particolarmente efficienti i mercati dove le informazioni sono abbondanti e disponibili a tutti i partecipanti e i prezzi riflettono quelle informazioni. Un esempio tipico di mercato efficiente è quello azionario americano, rappresentato dall’indice S&P500. In questo caso, un ETF sul S&P500 ha buone probabilità di ottenere risultati migliori rispetto ad un fondo azionario Usa.

Viceversa, quando il mercato non è efficiente, la bravura del gestore diventa fondamentale. La conoscenza e la specializzazione su un determinato segmento permette di individuare quelle aziende particolarmente interessanti, che magari il mercato per mancanza di informazioni non riesce a prezzare adeguatamente. E di conseguenza, nei mercati inefficienti i fondi attivi battono molto più spesso il benchmark, e di conseguenza gli ETF .

In definitiva, vale il detto “se il nemico è debole affrontalo, se è forte alleati con lui”.

 

Rischio

Abbiamo visto il confronto di ETF e fondi rispetto al benchmark, analizzandolo in termini di risultato positivo. Ma quando il mercato scende, cambia qualcosa?

In effetti, sempre da analisi su vasta scala, risulta che mediamente i fondi attivi hanno discese meno ampie rispetto al benchmark. Quindi, se è vero che salgono meno scendono anche meno. In altre parole sono maggiormente in grado di contenere la volatilità. Perciò, potrebbe essere meglio scegliere una buona gestione attiva, anche per mercati efficienti, qualora la tolleranza del cliente alle oscillazioni fosse particolarmente bassa. In questo modo si sacrificherebbe qualche punto percentuale di risultato complessivo, in cambio di una maggiore tranquillità, senza però rinunciare completamente alla crescita.

Un altro problema strettamente collegato, è che gli ETF nei momenti di forte crisi (un esempio molto recente è quello del Covid) possono discostarsi parecchio dalla quotazione del benchmark. Questo avviene per effetto del differenziale (spread) tra denaro (ovvero il prezzo a cui l’acquirente è disposto a comprare) e lettera (il prezzo a cui il detentore di un titolo è disposto a venderlo). Quando un titolo ha un numero di scambi molto elevato lo spread denaro-lettera è quasi irrilevante, in quanto ci sarà sempre qualcuno che vuole vendere e qualcuno disposto a comprare. Ma nel caso di quotazioni ridotte (o relativamente ridotte) questo può non avvenire. Durante il Covid gli ordini di vendita degli Etf erano superiori agli acquisti, e ciò ha comportato la necessità di vendere a prezzi ancora più bassi, per trovare compratori interessati. Questo ha approfondito la discesa rispetto al mercato.

 

Costi

Affrontiamo finalmente quella che sembra essere la madre di tutte le questioni. Ovvero, quello che da molti è considerato il motivo principale per preferire gli ETF ai fondi. Cioè che costano meno!

Che gli ETF abbiano un costo più basso rispetto ai fondi è un dato di fatto. Mediamente le commissioni di un fondo passivo oscillano tra 0,2 e 0,6%, mentre quelle dei fondi tra 1,3% e 2,5%. Il motivo è, in gran parte, nella differenza strutturale tra i due strumenti. Per creare e gestire un ETF passivo, non bisogna far altro che scegliere l’indice da replicare e movimentare il paniere di titoli quanto basta per mantenere i pesi. Un gestore attivo invece studia i titoli e le aziende per decidere su quali puntare, e ogni volta che ribilancia la composizione lo fa seguendo delle logiche frutto del lavoro dei team di analisi.

Uno dei “peccati originali” che i fondi scontano ancora oggi non sono tanto le commissioni di gestione pure, ma tutto l’insieme di costi aggiuntivi che negli anni le banche hanno fatto gravare su di essi. Parliamo delle commissioni di ingresso, delle commissioni di uscita e in alcuni casi persino delle commissioni di performance. Se si iniziano a sommare tutti questi costi allora davvero i risultati anche del migliore dei fondi iniziano a non bastare!

Il costo è sicuramente una variabile importante da considerare, e soprattutto è fondamentale sapere quanto e cosa si pagherà, prima di iniziare l’investimento.

Detto questo, ritengo svilente applicare agli investimenti la “logica del discount”, ovvero prendere la cosa meno cara che c’è e sperare che vada bene lo stesso.

 

Conclusioni

Arrivati alla fine di questa lotta all’ultimo sangue, chi rimane in piedi sul ring? Cosa è meglio, l’ETF o il fondo? Diversamente dagli incontri di boxe, e da una certa narrazione semplicistica, non c’è un vincitore a prescindere.

Entrambi hanno caratteristiche peculiari che li possono rendere particolarmente adatti a situazioni diverse. Se parliamo di semplice risultato, in mercati efficienti sarebbe meglio utilizzare gli ETF, e lasciare i fondi attivi per mercati meno efficienti. Quindi un’idea potrebbe essere quella di costruire un portafoglio con degli ETF a coprire la parte più diversificata e collocata nei mercati sviluppati, e utilizzare invece i fondi attivi per quelle nicchie e quei settori in cui serve uno studio più dettagliato.

Questo però potrebbe non andare bene in tutti i casi, perché avere la parte principale del proprio portafoglio investita in ETF significa vedere oscillazioni più frequenti è più profonde. E non tutti gli investitori sono in disposti ad accettarlo. È meglio cercare di ottenere il massimo risultato possibile, o quello che realisticamente ho le forze per conseguire? Perché utilizzare solo ETF e poi vedere che il cliente vende perché non è più disposto a sopportare la volatilità vanifica qualsiasi loro utilità.

Ed ecco che anche il costo assume un significato diverso. Sono disposto a pagare un costo maggiore per un fondo non tanto perché sia il migliore in assoluto, ma perché oltre alla competenza del gestore sto comprando una maggiore tranquillità. Sicuramente per poter rispondere sempre meglio alle diverse esigenze avere entrambi questi strumenti a disposizione è la soluzione migliore.

E, come sempre, la vera vincitrice assoluta resta sempre una buona pianificazione personalizzata.